31/05/2021

di Raffaele Lauro

L’IMMONDA GAZZARRA

Nell’attesa di definire le seconda parte della mia recensione sulla biografia di Giorgia Meloni, “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, edita da Rizzoli, dedicata all’universo formativo dell’autrice, come persona e come leader di partito, ho avuto la conferma che l’immonda gazzarra degli odiatori sociali, dei falsi democratici e dei sinistroidi d’accatto, non è cessata, ma si è intensificata e ha inteso colpire, sul web, non soltanto la Meloni, ma anche l’estensore della recensione. Direttori di giornali, vignettisti killer, commentatori con i paraocchi, mentecatti di tutti le risme, nonché fanatici librai e persino docenti universitari, si sono esercitati, a prezzo del loro decoro e della decenza, al tiro a bersaglio, lanciando i loro strali, velenosi e putridi, mascherati da satira politica, su entrambi gli obiettivi. Con l’unico risultato di contribuire, da un lato, al successo editoriale del libro e della connessa operazione politica, e, dall’altro, a rafforzare in chi scrive il convincimento che solo il dialogo e il confronto delle idee, anche aspro, ma corretto, sostanzia, alimenta e salvaguarda la democrazia. Questa “mala gens” avvelena la comunità democratica e non può farsi difensore dei principi e dei valori della nostra carta costituzionale, perché non rispetta, neppure umanamente, i propri avversari politici, che possono essere contrastati con le armi degli ideali, della dialettica, delle argomentazioni, dei programmi e delle prospettive economiche e sociali, ancorché contrapposte. D’altro canto, come meravigliarsi di questa prassi nefanda, se alte personalità politiche democratiche, ai vertici delle Istituzioni repubblicane, a partire da Alcide De Gasperi, da Giovanni Leone, da Aldo Moro e da Francesco Cossiga, sono state fatte oggetto, da ambienti estremi sia di destra che di sinistra, della prassi della delegittimazione, del linciaggio morale e della calunnia sistematica, mediante anche campagne di stampa, orchestrate tra giornalismo militante, di frequente colluso con ambienti giudiziari? A tal proposito, il peloso e sorprendente neo-garantismo delle ultime ore di Luigi Di Maio merita la massima attenzione, nel senso di verificare se trattasi di opportunismo strumentale, come molti presumono anche in seno al movimento, legato allo sfarinamento dello stesso, o di reale e consapevole rinnegazione di tutta la storia decennale del grillismo, la cui equivoca identità e il cui successo elettorale, nel 2018, sono stati costruiti in toto sulla gogna mediatica degli avversari politici, sulla lotta alla cosiddetta casta, sulla cancellazione delle clientele, sulle vittorie di Pirro alla povertà e sulla battaglia contro il sistema dei cosiddetti privilegi parlamentari, di cui, poi, in tre governi, il M5S, nonché Di Maio, è diventato erede, prosecutore, incarnazione e simbolo. Ma torniamo al tema che interessa, cercando di rispondere alla domanda: su quali riferimenti fondanti la Meloni ha strutturato il suo universo formativo, il suo reticolato di idee, la sua capacità dialettica e la sua forza comunicativa?

L’UNIVERSO FORMATIVO DELLA MELONI

Si può esordire citando un famoso adagio, declinato in vari modi, secondo cui “l’uomo è ciò che… mangia, vive, sente, esperisce”, e, parafrasandolo, affermare che esso sia anche ciò che legge, ascolta e apprende, in senso attivo. Questo perché le letture e le preferenze musicali effettivamente formano e contribuiscono a sviluppare la Weltanschauung, la visione del mondo, termine caro agli idealisti tedeschi ottocenteschi e da questi principalmente adoperato, per ciascuna persona, anche nei campi della critica letteraria e della storia dell’arte. La storia della critica filosofica e letteraria è densa di pagine nelle quali si è indagato sui percorsi “bibliotecari” dei pensatori, con lunghi elenchi dei volumi presenti delle loro biblioteche e la cui lettura e meditazione ne ha certamente formato e arricchito il pensiero. Umberto Eco, ne “Il nome della rosa”, mette in bocca a frate Guglielmo da Baskerville, e al suo novizio Adso, felicissime battute di un dialogo che ben lasciano comprendere tutto ciò: “Come mai? Per sapere cosa dice un libro ne dovete leggere altri?”. “Talora si può fare così. Spesso i libri parlano di altri libri. Spesso un libro innocuo è come un seme, che fiorirà in un libro pericoloso, o all’inverso, è il frutto dolce di una radice amara”. Ecco perché è possibile rintracciare ed esporre quali siano stati i riferimenti culturali, letterari e musicali, che hanno inciso nella formazione di Giorgia Meloni, come donna, come madre, come leader conservatore, come cristiana e come italiana, fasi in cui, nel volume, l’autrice ha raccontato se stessa. Principiamo, dunque, con la musica, ciò senza cui, secondo Friederich Nietzsche, la vita sarebbe un errore.

LA MUSICA

Giorgia, da bambina, sognava di fare la cantante, incoraggiata dal nonno Gianni, il quale le chiedeva di interpretare, gareggiando con la sorella, sempre e solo “Parlami d’amore Mariù”, la dolce canzone d’amore, scritta, nel 1932, per Vittorio De Sica. Sogno che in parte avrebbe poi potuto realizzare nel 2019, quando circolò in rete un motivo “da discoteca”, remixato con le parole con le quali aveva concluso un importante comizio elettorale qualche giorno prima. Nonostante l’intenzione dei denigratori seriali, in genere psicologicamente degli impotenti e frustrati, fosse quella di screditare lei e le sue idee, la “canzone” ottenne un incredibile successo mediatico, a dimostrazione, tra l’altro, di come spesso, in politica, gli odiatori di professione possano diventare inconsapevoli e proficui alleati di coloro sui quali riversano il proprio odio gratuito. L’importanza che riveste la musica nella vita dell’autrice è testimoniata anche dal fatto che nel volume ciascun paragrafo si apra con la citazione di versi di canzoni. Percorrendo le pagine viene fuori come le sue preferenze musicali siano varie e variegate, quasi a tracciare dei binari sui quali, poi, corre la sua vita. Messe in sequenza, le parole di Ed Sheeran, Luciano Ligabue, Nomadi, Renato Zero, Jovanotti, Francesco De Gregori, Mia Martini, Maroon 5, Lucio Battisti, Compagnia dell’Anello, Eddy Vedder, Adele, Franco Battiato, Cat Stivens, Giorgio Gaber, Francesco Guccini, Michael Jackson, John Lennon e Fabrizio De André, divengono una mappa interiore, uno speculum della Meloni, la quale, in più punti, rivendica, prendendole per mano e facendosene alfiere, le istanze sue e dei suoi sostenitori riguardo quell’atteggiamento, comune a certa sinistra, secondo cui alcuna arte e alcuni artisti siano soltanto loro appannaggio e non possano essere apprezzati da quanti non condividono le loro fanatiche istanze ideologiche. Non c’è da meravigliarsi affatto, quindi, che Giorgia, come scrive, tra le canzoni che più conosce a memoria ve ne siano tante di Guccini e di De Andrè, cantautori “per quanto organici potessero essere alla sinistra del secolo scorso”. L’arte e, quindi, anche la musica non hanno colore di parte, ma ciò, evidentemente, non è ancora chiaro a tutti!

I LIBRI

Se il nonno è stato, per Giorgia bambina, il propulsore della sua passione musicale, la madre lo è stata per quella letteraria, trasmettendole l’amore per i libri. La sua “Bibliotheca vitae” si mostra molto ben fornita. I richiami e le citazioni di opere letterarie, invero, non rappresentano un mero esercizio nozionistico-compilativo, un vuoto ed esornativo “embellissement”, ma, al contrario, tracciano, mostrano un percorso, recando in sé la logica della “consecutio” ideale del suo “cursus” formativo. La narrazione è costruita partendo dall’opera letteraria perché è stata questa lo sfondo dell’accadimento e ne ha poi permesso il racconto. Libro che si fa vita e vita che torna ad essere libro, si potrebbe dire, mostrando anche come, vi si accennava prima, i libri spesso parlino di altri libri. Tra gli autori e i volumi che hanno influenzato la Meloni, certamente un posto preminente spetta a John Ronald Reuel Tolkien e alla sua opera più famosa, “Il Signore degli Anelli”, più volte citata, vissuta, non soltanto letta, nei suoi mondi e personaggi fantastici. Quest’opera si abbina a un altro volume, un altro fantasy, “La storia infinita” di Michael Ende, dal cui personaggio, uno dei principali, la Meloni ha tratto il nome per l’incontro giovanile, da lei stessa organizzato per la prima volta nel 1998, divenuto, negli anni, un appuntamento imprescindibile per le giovani generazioni di destra: Atreju. Per il resto, colpisce la presenza di Charles Mackay e della sua poesia “No Enemies”, con il riferimento alla “Iron Lady”, Margaret Thatcher, che la meditava nei momenti di difficoltà. Ma, soprattutto, di Bertold Brecht, citato nella dichiarazione di voto per la fiducia al Governo Draghi, che suscitò la solita isterica irritazione a sinistra, per il fatto che alcuni autori siano soltanto “loro” intangibile patrimonio e non citabili da chi non appartenga alla propria fazione. O, ancora, il Pier Paolo Pasolini di “Saluto e augurio”, scritto potente e di straordinaria bellezza, paradossalmente un manifesto politico conservatore, o il “Perché non possiamo non dirci cristiani”, del laico e maestro dello storicismo, Benedetto Croce, sull’identità fondamentalmente cristiana della civiltà occidentale. E come, poi, non notare le presenze lievi di Yukio Mishima, di Herman Melville, di Roger Scruton, di Victor Hugo, di Charles Baudelaire e di Stephen King. L’onestà intellettuale che pervade questo racconto biografico è dimostrata anche da fatto che l’autrice, con garbo, abbia voluto svelare e partecipare ai lettori e ai suoi elettori quegli aspetti culturali, di cui si è nutrita, per mostrare la struttura, volendo usare il lessico marxiano, da cui si sono originate e sviluppate le sue sovrastrutture di donna e di donna impegnata nella vita pubblica.


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