01/11/2020

di Raffaele Lauro *                                     

Mentre ci avviciniamo, a tappe contraddittorie, varate a singhiozzo da un governo-tentenna e da una  disastrata maggioranza, del tutto inadeguata e irresponsabile, ad un fase di questa pandemia, ancor più difficile della prima, una lucida ed articolata testimonianza di un amico giornalista mi ha aperto gli occhi sul dramma nel dramma di questa tragedia epidemica, che continua ad assediarci. Un dramma sul quale nessuno finora dei commentatori, autorevoli o improvvisati, si è soffermato a sufficienza, con analisi adeguate e circostanziate, non solo sui servizi sociali di assistenza a carico degli enti locali, ma sulla mancata rete di solidarietà tra amici, famiglie, coinquilini, vicini e comunità condominiali. Quella solidarietà, umana ancor prima che cristiana, che caratterizzava, anche nelle città, non soltanto nei paesi più piccoli, la vicinanza del consorzio, parentale e amicale, verso una famiglia colpita da una disgrazia, da un lutto o da una disavventura, imprevista ed improvvisa.  Il protagonista di questa, per me, illuminante testimonianza, ha confessato che, mentre veniva portato via da una autoambulanza attrezzata, nonostante la febbre alta, la sofferenza fisica, l'isolamento totale dal mondo e la perdita completa della voce,
il suo pensiero lancinante era rivolto, da quei primi momenti, come nelle settimane successive di degenza e di dolorose terapie, alla moglie e alla figlia, rimaste da sole, a casa, in totale isolamento da quarantena.  Le avrò infettate? Chi le assisterà? Chi le informerà della mia condizione! Chi provvederà alle loro necessità materiali? Chi spenderà per loro una parola di conforto e di speranza? Drammatici interrogativi che hanno reso il viatico delle cure e della lunga convalescenza ancor più doloroso delle stesse sofferenze fisiche. Il rientro a casa gli ha confermato, pur nella dignitosa riservatezza della sua famiglia, quanto quegli interrogativi fossero fondati o rimasti con poche o nessuna risposta. Certamente inadeguate. Non bastano le telefonate dei sindaci alle famiglie dei ricoverati e le assistenze domiciliari apprestate, laddove funzionali ed efficaci, serve riscoprire quell'antico e nobile spirito di solidarietà interfamiliare, inteamicale, di vicinanza e di prossimità fisica nei luoghi domiciliari e di residenza. Uno spirito che ha soccorso e aiutato il  nostro paese a risollevarsi  in tempi difficili da guerre, terremoti, alluvioni e altri tragici eventi, che hanno tormentato il passato della nostra storia di popolo e di nazione unitaria. Ce lo impone la nostra coscienza, prima che la nostra fede religiosa. Aiutiamoci e sosteniamo a vicenda! Basta una parola, basta un gesto! So bene quanto questa pratica sia difficile nelle grandi periferie urbane,  negli anonimi agglomerati edilizi e nelle realtà più emarginate del tessuto sociale. Ma proviamoci, nella consapevolezza che, in quest'ora drammatica della storia dell'umanità intera e nostra, di italiani che amano la vita, l'alternativa sarebbe il caos e la morte di ogni speranza!                                   

* Scrittore

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