18/04/2020

Pubblichiamo la seconda, e ultima, delle riflessioni di Raffaele Lauro, dedicate ai ritardi, alle criticità applicative e all’insufficienza delle misure, finanziarie e fiscali, destinate ai cittadini, alle famiglie e, principalmente, alle imprese, varate dal Governo Conte con i decreti-legge di marzo e di aprile. All’anarchia istituzionale, comunicazionale e scientifica, tuttora in atto, si è aggiunta, secondo lo scrittore, anche l’anarchia legislativa, che potrebbe essere corretta, in extremis, nella fase di conversione dell’ultimo provvedimento. Mentre Lauro ne paventa un’altra nella fase due della cosiddetta ripartenza: un nuovo Medioevo. Lauro sottolinea, infine, anche la delusione del comparto turistico, i cui allarmi sono rimasti del tutto inascoltati e le cui proposte sostanzialmente disattese.

di Raffaele Lauro

LA PATOLOGIA DELLA POLITICA: L’ANNUNCITE

Tra le malattie ereditarie delle classi dirigenti e di governo, a livello nazionale, regionale e locale, si possono annoverare, per citare quelle storicamente più rilevanti: il familismo; il clanismo; il burocratismo; i conflitti di interesse; il voto di scambio; il traffico delle influenze; le solidarietà occulte per l’appartenenza ad associazioni, sette e logge, che hanno inquinato i corpi dello Stato; le collusioni tra il potere economico, la criminalità organizzata e gli organi di stampa; i privilegi di casta; la lottizzazione permanente delle nomine e delle cariche pubbliche, fino all’ultimo dei concorsi e, in particolare, nel servizio pubblico radiotelevisivo; il correntismo partitico, in gran parte della magistratura e nelle autorità di garanzia, nonché il servilismo interessato, con rare eccezioni,  di gran parte dell’informazione.
A completare il quadro dei mali della politica nazionale, va evidenziata un’altra tabe, apparentemente minore, che ha interessato quasi tutti i governi della Repubblica (primi ministri, vice ministri, sottosegretari di Stato, parlamentari, presidenti di regione, sindaci, ecc...): l’annuncite.
Questa patologia consiste nella pratica governativa e parlamentare, in particolare dei capi di governo, di comunicare, con particolare enfasi, attraverso i media, e non soltanto nelle competizioni elettorali (le promesse agli elettori!), provvedimenti, anche di necessità e di urgenza, come i decreti-legge, aventi a oggetto misure economiche e fiscali, senza una verifica preliminare sulla loro fattibilità e senza l’adozione di procedure semplificate e tempestive. Le conseguenze sono devastanti: illusioni, aspettative e attese puntualmente deluse dei cittadini-sudditi e del mondo delle imprese.
Questa malsana prassi di lunga data ha raggiunto, nell’era delle comunicazioni di massa, dei new media e dei social, livelli parossistici, creando disillusione, sconcerto, confusione, stress e rabbia, molta rabbia, specie nelle fasce sociali più deboli.
Il fattore tempo, peraltro determinante nei provvedimenti di necessità e di urgenza, è diventato una variabile indipendente, non più la “condicio sine qua non”.
Non importa, per i governanti, il “quando e come” i provvedimenti saranno esecutivi, ma, per la loro ossessionata ricerca del consenso, bastano gli annunci, quasi sempre retorici, enfatici, compiaciuti e autoreferenziali, trasmessi per mezzo dei social. Più che cinguettii, o post, questi annunci sembrano i canti delle cicale, friniti.
Va chiarito, in aggiunta, che questo delirio mediatico non rappresenta una degenerazione del costume democratico soltanto italiana, finalizzato esclusivamente ad accrescere il consenso istantaneo e il gradimento nei sondaggi dei leader politici, o presunti tali, ma investe quasi tutti i vertici del potere esecutivo e legislativo delle democrazie occidentali. Questi, infatti, si esercitano quotidianamente in annunci su annunci, talvolta contraddittori, spesso smentiti, con riflessi negativi sui mercati finanziari e sulle scelte dei singoli, delle famiglie e delle imprese. La corsa all’annuncio, inoltre, determina e alimenta un pericoloso danno collaterale: il circo mediatico dei meme, degli hater e delle fake news, secondo l’ormai sperimentato metodo di confezionare piccole verità con grandi menzogne.
Questa degenere consuetudine, in tempi normali (esistono o esisteranno più, dopo questa pandemia, tempi definibili normali?), indebolisce le democrazie rappresentative, nel rapporto di fiducia tra i cittadini e le pubbliche istituzioni. In tempi emergenziali, tuttavia, come quello causato dalla pandemia da covid-19, rischia di provocare anarchia e caos, minacciando la dissoluzione stessa di quel che resta dei regimi democratici e della stessa sovranità dello Stato.

LE ANARCHIE IN ATTO E QUELLA PROSSIMA VENTURA DELLA COSIDDETTA FASE DUE

Le tre anarchie, istituzionale, comunicazionale e scientifica, riguardanti il nostro paese, in precedenza già denunziate e documentate, più che essere state, negli ultimi giorni, ridimensionate e contenute, si sono trasformate in una nefasta marea di irresponsabilità, di incapacità e di improvvisazioni. Sono deflagrati i conflitti di competenza tra Stato e Regioni, tra Regioni tra loro, tra Regioni e Comuni, tra Comuni e Comuni, sulla durata e il rafforzamento delle misure di contenimento del contagio, sui dispositivi di sicurezza necessari e disponibili e sulle misure straordinarie per affrontare la conseguente pandemia economica, diventata minaccia al tessuto economico e produttivo del nostro paese e all’ordine sociale.
Un’armata Brancaleone o, meglio, un esercito allo sbando, peggio di Caporetto e dell’8 settembre, con i governatori regionali che rivendicano, nei loro scontri, persino una sorta di sovranità territoriale.
Stiamo tornando a un nuovo Medioevo, con gli staterelli pre-unitari, i baroni, i conti e i granduchi del Nord, del Centro e del Sud? E alla dissoluzione dello Stato unitario?
La creazione, accanto ai soggetti istituzionali, di organismi straordinari, come i commissari di governo, i comitati scientifici, le commissioni pletoriche dalle sospette composizioni lobbistiche e dalle competenze imprecisate e le task force dei cosiddetti competenti, ha dissolto in mille rivoli decisionali, in conflitto tra loro, l’unicità di comando, di coordinamento e di controllo dell’esecutivo, alimentando il deliquio quotidiano delle dichiarazioni, contraddittorie e talora contrapposte.
Il potere esecutivo e legislativo d’urgenza, le cui responsabilità nei colpevoli ritardi iniziali e nella sottovalutazione irresponsabile dell’emergenza epidemica, pur dichiarata, dal 31 gennaio fino alla prima decade di marzo, risultano ormai acclarate, ha prodotto così provvedimenti scoordinati, confusi e di difficile applicazione, comunicati sempre con la consueta enfasi.
Il premier Giuseppe Conte, infatti, ha continuato a frinire, nei suoi risibili “Discorsi alla Nazione”, organizzati dal “sistema Casalino”, per inseguire un’illusoria popolarità mediatica, come copertura di una costitutiva debolezza politica, anticipando decreti su decreti, senza una strategia di fondo e senza una chiarezza sulle prospettive, rovesciando, more solito, su altri soggetti, istituzionali e non, le sue responsabilità esecutive: i presidenti di regione, gli assessori regionali alla sanità, i sindaci, l’INPS, l’Unione Europea, il MES e gli euro-bond, i comportamenti scorretti di singoli cittadini e, da ultimo, il sistema bancario, più croce che delizia del mondo imprenditoriale italiano, in particolare di quello fragile e molto credito-dipendente delle piccole e medie imprese. Dal canto loro, i soggetti delegati, specie le regioni, invocando lo scudo di altri comitati scientifici, con poche eccezioni, hanno praticato lo stesso “rovesciamento delle responsabilità”, aggravato da inconcludenti polemiche di bassa politica e di faziosità partitiche.
I cittadini, le famiglie e le imprese hanno assistito e assistono sgomenti, ansiosi, confusi e rabbiosi a questo osceno balletto delle irresponsabilità, che ha trasformato il nostro paese in quello che Dante definiva il “bordello Italia”. Ormai disperati, si aggrappano, nel temuto naufragio collettivo, come a una scialuppa di salvataggio, ai decreti economici del governo, presentati come di immediata esecuzione, e alle fragili rassicurazioni degli scienziati, dei virologi, dei medici ospedalieri, nonché di improvvisati esperti di pandemia, più imbonitori che uomini di scienza, spesso in contrasto di valutazioni tra loro, che affollano l’indecoroso palcoscenico mediatico, alimentando così speranze e attese del futuro, alternate a timori e paure.
Dove l’annuncite di questo governo ha dato il peggio di se stesso sono stati i due decreti per la ripresa economica (sic!), quello di marzo e quello di aprile, presentati come risolutivi, sul piano finanziario e fiscale, come immediatamente efficaci e con risorse consistenti, gentilmente concesse dall’esecutivo.
Non appena si sono dissolti, tuttavia, gli artificiali effluvi mediatici del mago Casalino, i due provvedimenti, scritti male, pasticciati, pubblicati con ritardo sulla gazzetta ufficiale, si sono rivelati come una “nuova truffa”, fatta di farraginosità applicativa, di ostacoli burocratici, di procedure lente e di rimandi legislativi incomprensibili.
Così alle tre anarchie, istituzionale, comunicazione e scientifica, se n’è aggiunta una quarta: l’anarchia legislativa, sulla quale pesano anche forti dubbi di legittimità, non solo formale, come ha sottolineato un giurista serio, come Sabino Cassese, mentre se ne prepara un’altra, quella legata alla fase due, la cosiddetta ripartenza.
Un nuovo primato, questo, legislativo e normativo, dell’Avvocato del Popolo, irridente per un docente del diritto, mentre continua la macabra litania dei, finora, ventiduemila decessi, recitata quotidianamente, con cinismo statistico, dai vertici della protezione civile. Come se le vittime innocenti, prevalentemente anziani, media ottanta anni, fossero lo scarto della società civile e non il patrimonio più prezioso delle famiglie e della comunità.
Si tratta di un bollettino della sconfitta, umana prima che politico-istituzionale, del cosiddetto “modello italiano”, elogiato, sottolinea Conte, dai governi, europei e occidentali, degli altri paesi, i quali sono riusciti, imitandolo negli errori, a fare anche peggio di noi, con irrazionali sottovalutazioni, colpevoli ritardi e reiterate improvvisazioni.
Un grottesco elogio, che non assolve dagli errori quei governi, tantomeno il nostro!

L’ANARCHIA LEGISLATIVA E LE CRITICITÀ DA RISOLVERE. “L’IMPOTENZA DI FUOCO”

Ci si era illusi che il decreto di aprile correggesse le storture, la poca chiarezza e le omissioni del decreto di marzo, specie per il comparto turistico e per la drammatica crisi di liquidità delle imprese, grandi, medie e piccole. Al contrario, con l’imposizione della fiducia e la conseguente strozzatura degli emendamenti parlamentari, ha peggiorato la situazione, persino per l’obolo dei 600 euro, in pagamento dopo un mese, mentre, in altri paesi, è stato erogato in due giorni dalla richiesta. Nessun contributo a fondo perduto alle imprese, almeno finora, ma soltanto prestiti bancari garantiti dallo Stato, con procedure farraginose, che le banche si ostinano a mettere in pratica, attraverso la richiesta di copiosa documentazione, nonché tempi molto lunghi per deliberare la concessione del credito stesso. Proroghe degli obblighi fiscali, a singhiozzo, di un mese/due mesi, provocando così un cumulo di adempimenti tributari, a giugno, che brucerebbe il poco ossigeno derivante dai prestiti, sempre che fossero erogati nelle prossime quattro settimane. Aspettativa peraltro dubbia.
E così la proclamata “potenza di fuoco” dei 400 miliardi si è trasformata in impotenza assoluta, perché resta ingabbiata, alla faccia dei programmi di digitalizzazione e delle mancate riforme costituzionali, nelle tradizionali dinamiche della nostra organizzazione statuale, delle nostre autonomie territoriali, del nostro sistema bancario e, non da ultimo, nella mentalità medioevale del “mandarini” del potere, i non-politici: le alte burocrazie, le dirigenze regionali fino ai responsabili amministrativi degli enti locali, che confondono ancora, dopo settant’anni, i diritti dei cittadini e delle imprese, come “concessioni”, magari da prezzolare.
Delle mancate riforme del passato e di questa mentalità, radicata nel tempo, non si possono certo caricare le spalle del premier Conte, onuste già degli errori presenti, né ci si può illudere che un suo eventuale successore, si spera più competente, tra quelli di cui si mormora, non debba fare i conti con questi ostacoli atavici, mai rimossi. Tanto meno che abbia la bacchetta magica per riportare subito ordine, razionalità e coerenza alla fuoriuscita dall’anarchia attuale e poter recuperare una caduta del PIL che veleggia verso il -20%: il nostro terzo e più difficile “dopoguerra”!
Queste sconfortate e sconfortanti considerazioni dovrebbero indurre chiunque a rinunziare a dare ulteriori suggerimenti, nella prossima conversione parlamentare del decreto di aprile, per gli emendamenti al provvedimento, suggerimenti magari piccoli, ma che potrebbero alleviare, se non risolvere, lo stato comatoso della nostra economia. A riguardo, tuttavia, soccorre la tenacia della speranza e la consapevolezza che, al di là della cronaca, il giudizio della Storia peserà sulla coscienza di noi tutti, nessuno escluso.
Ed ecco, a oggi, il minimo auspicabile, per superare la confusione, le illusorie aspettative e lo stallo attuale nelle aziende e nelle stesse banche, creato dal cosiddetto “bazooka della liquidità”:
- sul piano finanziario, per ovviare alla crisi di liquidità:
1) la rimozione immediata del caos bancario per accedere ai finanziamenti, fino a 25.000 euro, varando procedure semplificate per questo tipo di finanziamento, sostenuto dal Fondo Centrale di Garanzia;
2) il divieto assoluto alle banche di utilizzare la garanzia pubblica, come cappello per coprire finanziamenti già precedentemente concessi e deliberati, operazioni che, maggiorate del 10%, potrebbero essere inserite con la garanzia del Medio Credito Centrale o della Sace;
3) la deroga alla valutazione del merito creditizio, per gli importi fino a 25.000 euro e fino al 25% del fatturato, riguardante non solo l’ammissione alla garanzia, ma anche l’istruttoria della banca, cui spetta ogni autonomia decisionale sulla delibera;
4) l’utilizzo della garanzia, per importi fino a 25.000, da estendere, oltre che alla clientela della banca, anche alla nuova clientela;
5) l’impiego del metodo Merkel o quello di Trump, per l’accredito ad horas degli aiuti, anche a fondo perduto, sui conti correnti delle imprese.
- sul piano fiscale, per ovviare alla morsa fiscale:
1) la sospensione di tutti gli adempimenti fiscali, e per tutte le categorie, almeno fino a ottobre, a cominciare da quelli relativi alle dichiarazioni Irpef, Ires, Irap e Iva, compresi gli acconti d’imposta;
2) l’inserimento, tra i pagamenti sospesi, anche di quelli derivanti da avvisi bonari, accertamenti con adesione e altri istituti deflativi del contenzioso, nonché da transazioni fiscali, da accordi di ristrutturazione dei debiti o da piani del consumatore;
3) la compensazione dei crediti 2019, relativi a imposte dirette e Irap, anche prima della presentazione della relativa dichiarazione, riducendo la misura degli acconti relativi alle medesime imposte;
4) l’azzeramento degli effetti dell’Isa per l’anno d’imposta 2019 e 2020, causa l’evidente non normale svolgimento dell’attività.

Un sommesso consiglio conclusivo al presidente del Consiglio pro-tempore e al ministro dell’Economia e delle Finanze, anch’egli pro-tempore: uscire dal loro sonno dogmatico, come Kant ne uscì tramite la lettura di Hume, rileggendo attentamente, con o senza il permesso dell’Unione Europea, la raccolta dei saggi sulla grande depressione del 1929, “Essays in Persuasion”, di John Maynard Keynes.

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