26/06/2021

Grillo e Conte, un po' meno della Pimpa e Barbapapà
Le liti di queste ore per l’ultimo brandello di potere sono un epilogo all'altezza della tv dei ragazzi. E il bello è che si stanno disputando una scatoletta di tonno vuota

artciolo di Mattia Feltri da HuffPost

Non potrò mai capacitarmi di come questo santo paese abbia potuto mettersi nelle mani di discolacci inutilmente invecchiati, spronati da irrisolto ribellismo adolescenziale e da rancore di tendenza sputazzante (Beppe Grillo) oppure da stupore alla Gasperino il carbonaro, che dopo essersi accarezzato nei velluti di palazzo non si capacita di essersi svegliato a bottega (Giuseppe Conte), l’uno che è un vulcano di tragicomiche idee alla Bouvard e Pécuchet, incapaci di reggere un quarto d’ora alla prova della realtà, ma con un sovraprezzo di alterigia e violenza, l’altro che impegna le sue migliori energie ad abbinare la pochette al mondo, e vedremo quanto durerà lo scatto d’amor proprio delle ultime ore. Comunque entrambi – come tutti quelli mai sazi di parole ridondanti, catartiche, messianiche – sono in realtà applicati alla circonvenzione d’incapace, e fin qui con successo (i truffatori hanno successo perché c’è chi si lascia truffare) speso per trasformare le istituzioni nel loro personale tabellone del Monopoli.

Le liti di queste ore, condotte con le regole d’ingaggio del ginnasio, coi litiganti che si mettono il muso, con l’avvocato che giovedì pomeriggio scopre dalle agenzie di stampa del tradimento dell’amichetto garante, e si offende, e l’amichetto garante che venerdì mattina scopre dai giornali che l’avvocato è offeso, e a sua volta se ne offende e quindi lascia Roma per tornarsene a casa, gne gne, e a quel punto si mettono in mezzo gli intermediari tipo Stefano Patuanelli, che telefona a uno in presenza dell’altro – i due non sono abbastanza ometti per parlarsi direttamente, cioè se le mandano a dire – beh, tutto questo è un epilogo all’altezza della tv dei ragazzi.

Il bello è che si stanno disputando una scatoletta di tonno vuota, un Movimento nato sul vaffanculo più digrignante e vissuto su una base programmatica jovanottesca: un due tre casino. Erano arrivati, i grillini, sui presupposti più inverosimili, imporre la repubblica rousseauiana liberata dai partiti attraverso un partito-non-partito, senza sede, senza leader, per cancellare la democrazia rappresentativa e sostituirla con la democrazia diretta, trasferire il potere al popolo, il popolo onesto (gulp) avrebbe introdotto l’onestà, la guerra alle élite avrebbe cancellato la povertà, i cieli sarebbero tornati azzurri, i campi verdi, e trallallero trallalà. Con un simile programma di governo, su cui la Pimpa e Barbapapà avrebbero avuto qualche imbarazzo ad apporre la firma, hanno vinto le elezioni. Guardateli ora: dopo essersi piegati a qualsiasi alleanza pur di restare blindati nelle auto blu, e permettere a Roberto Fico di andare in tribuna vip per la partita dell’Italia con nove guardie del corpo, meraviglioso tripudio da maiali orwelliani, sono lì che si disputano l’ultimo brandello di potere, comando io, no io, la diarchia sì, la diarchia no, il simbolo è mio, e allora io me ne vado.

Se il prezzo della fine della fiera è la vittoria di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, pazienza, che vincano e governino. Combattere i fan della democrazia illiberale con i balocchi della democrazia pepperepé è solo tempo perso. Ripartire da Draghi, non dai draghetti.

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