30/06/2020

di Raffaele Lauro (www.raffaelelauro.it)

Pubblichiamo quest’ultima riflessione articolata, allarmante e, per molti versi, amara dello scrittore Raffaele Lauro, che conclude il diario sulla pandemia Covid - 19, dal titolo “Diario della pandemia: io accuso”. Il diario sarà pubblicato in formato digitale e messo a disposizione gratuitamente. Lo ringraziamo vivamente e gli facciamo gli auguri di continuare nel suo sempre generoso impegno al servizio della comunità.

CONTE, IL PREMIER DELL’INCOMPIUTO NEL PAESE DELL’INCOMPIUTO

Occorre fare un bilancio, sia pure in estrema sintesi, degli eventi drammatici che hanno caratterizzato, nel nostro paese, il primo semestre dell’anno, da gennaio a fine giugno 2020, nonché dell’inazione iniziale del Governo Conte II (febbraio, prima decade di marzo), superficiale e gravemente colpevole, nonché dell’azione successiva dello stesso, contraddittoria, lenta e sostanzialmente inefficace, per fronteggiare, sia sul piano sanitario che economico-sociale, un evento straordinario, come la pandemia da coronavirus. Senza i paraocchi della odiosa partigianeria dei “leoni della tastiera” ed evitando di cadere nei trucchetti illusionistici della propaganda di Palazzo Chigi, orchestrata dall’ormai famoso ingegner Rocco Casalino, di cui questo governo ha fatto un utilizzo sconsiderato e strumentale, per tentare un resoconto significa entrare in una galleria degli orrori o salire su una spericolata montagna russa, provando brividi, non piccoli, e una sensazione viscerale di paura. Con la differenza che i brividi e la paura, quando indotti dalle quelle attrazioni da luna park, dopo poco si dissolvono, mentre, nella nostra realtà, di fronte a fatti incontestabili e documentati, si moltiplicano e si traducono in angoscia, specie quando i consuntivi vengono proiettatI sulle prospettive del secondo semestre 2020 e del triennio successivo 2020/2023. 
Si sono avverate, purtroppo, le “profezie” del diario politico della campagna elettorale 2018, dal titolo “l’Italia sul baratro”, con la prima alleanza “spuria” tra gli ex-acerrimi nemici M5S-Lega Nord di Matteo Salvini, a sostegno del Governo Conte I, seguita, a stretto giro, dalla seconda alleanza, altrettanto “spuria”, tra gli ex-implacabili nemici M5S-Partito Democratico, a sostegno del Governo Conte II. Alleanze e governi che, dissolti gli incensi dei sondaggi favorevoli, saranno ricordati come le pagine più oscure, indecifrabili e controverse della storia politica italiana e che hanno portato all’agonia dell’istituzione parlamentare, modificando, di fatto, il baricentro della nostra democrazia costituzionale e repubblicana. Va precisato, tuttavia, come anticipato in precedenza, a scanso di fuorvianti interpretazioni, che non solo Giuseppe Conte, il premier “per caso”, dovrà essere chiamato a responsabilità per le condizioni, attuali e future, del nostro paese, ma l’intera classe politica e di governo di centrodestra e di centrosinistra, che ha mal governato l’Italia dalla fine della  prima repubblica fino al 2018. Quasi un quarto di secolo di promesse e di annunci (i mitici programmi di governo, i libri dei sogni!) di rivoluzioni epocali e di riforme strutturali (istituzionali, costituzionali, amministrative, economiche, fiscali e sociali), nonché di ammodernamento degli apparati pubblici, centrali e periferici, indifferibili nell’era digitale. Promesse di cambiamento e annunci propagandistici, rimasti quasi tutti sulla carta, sospesi nel vuoto della ciarlataneria politica all’italiana, dispersivi di ingenti risorse finanziare, scaricate irresponsabilmente sul debito publico. 
Elencare la maggior parte, se non tutte, di queste “incompiutezze” della cosiddetta seconda repubblica occuperebbe, in questa sede, uno spazio non disponibile. Basti ricordare, a titolo di esempio, il fallimento di tutte le proposte di riforma fiscale organica, equa e giusta, secondi i principi della nostra costituzione. Nonostante i superenfatici e abusati slogan elettorali “Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani!”, il risultato finale è stato quello di consegnare alla legislatura in corso un ordinamento fiscale, oppressivo e predatorio, una congerie di norme, farraginose e disorganiche, una giungla bacata da condoni, improvvisati e falliti, che hanno mortificato e punito i cittadini onesti e le imprese, alimentato l’evasione e l’elusione fiscale, nonché l’economia para criminali del nero, distruggendo la fiducia nella politica e nelle istituzioni democratiche e determinando, in tal modo, il successo elettorale di movimenti antisistema, populistici e demagogici, come i cinque stelle, altrimenti detti “grillini”, dal nome del loro vate ispiratore, il comico genovese Beppe Grillo. L’avvocato Conte, quindi, ha ereditato un sistema-paese incompiuto, ottocentesco, capace di veleggiare nei tempi delle vacche grasse, ma inidoneo ad affrontare la navigazione nei tempi delle vacche magre e nelle situazioni emergenziali, come constatato in precedenza con la crisi finanziaria mondiale del 2007/2009. Fare di lui, dunque, l’unico capro espiatorio del pantano presente e del temibile disastro futuro, sarebbe, quindi, un’operazione di mistificazione, un altro alibi nell’assolvere le altrui responsabilità storiche. Si può constatare, comunque, come il premier sia diventato, paradossalmente, l’espressione più significativa della incompiutezza del nostro sistema politico, l’epifania e l’estrema parodia dello stesso, il suo drammatico epilogo, avendo esaltato, in questo biennio,  con maggior enfasi retorica, con superiore sfrontatezza e con una straordinaria abilità illusionistica, la prassi degenerante dei predecessori delle promesse mai mantenute e degli impegni mai onorati. Conte, dunque, il premier dell’incompiuto nel paese dell’incompiuto! E senza neppure poter lenire questa sgradevole constatazione con un nobile riferimento alla Sinfonia n. 8 in si minore D 759 di Franz Schubert, detta l’incompiuta. Si tratta, quella di Conte, di ben altra musica, rispetto al capolavoro del grande compositore viennese.

IL RUOLO POLITICO-ISTITUZIONALE DELLA “VOLPE FOGGIANA”, RAFFORZATO DALLE DEBOLEZZE ALTRUI. DA PALAZZO CHIGI AL QUIRINALE, UN PASSO BREVE?

Si parta dalle omissioni e dalle irresponsabili sottovalutazioni iniziali, costate finora quasi 35.000 morti e seguite, per circa quaranta giorni alla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale (Delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020), senza neppure preoccuparsi di definire delle “linee guida nazionali per il coordinamento delle misure di prevenzione e di contenimento dell’epidemia”, il minimum necessario per disciplinare e coordinare i rapporti tra Stato e Regioni, come da norma costituzionale. Di seguito, la frenetica attività di Conte, attraverso un profluvio di decreti presidenziali, spesso confusi e contrastanti, e di conferenze-stampa a reti unificate, all’insegna dell’improvvisazione e della rincorsa dei problemi, ha determinato un’anarchia istituzionale, scientifica e comunicazionale, spacciata agli occhi dei ciechi e degli stolti come “il metodo italiano”, imitato persino (in peggio) dagli altri paesi europei ed extraeuropei (USA, Brasile e Russia, in primis). Il metodo di governo del premier Conte, in realtà, si è risolto in un costante, consapevole e raffinato tatticismo per conservare il potere, caratterizzato: nel periodo pre-epidemico, dal 2018 al gennaio 2019, dal rinvio sistematico di ogni decisione politicamente significativa, tranne mercanteggiare e distribuire nomine e incarichi tra i partner, vecchi e nuovi, unico e acclarato collante delle due “false” maggioranze; nel periodo epidemico, tuttora in corso, dalla moltiplicazione dei centri decisionali (consulenti, comitati scientifici, commissari straordinari e commissioni), sui quali, ad ogni difficoltà e contestazione, poter rovesciare le proprie responsabilità decisionali, persino quelle di natura politica. Machiavellismo o ponziopilatismo, che sia stato e sia, questa eccellente abilità di prestigiatore della politica politicante, nonostante fosse un neofita, gli è ben riuscita, fruttandogli non solo il gradimento nei sondaggi, anche i più recenti, ma l’annichilimento progressivo dei suoi primi “dante causa” (il M5S) e delle concorrenziali leadership, dentro e fuori le due maggioranze (Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Matteo Renzi). Nonché, dentro i due governi, la svalorizzazione pubblica di molti ministri, alcuni modesti e del tutto inidonei a gestire le problematiche più complesse dei rispettivi dicasteri (nel Governo Conte I spiccavano: i Tria, le Stefani, le Lezzi, i Toninelli, i Fontana e le Grillo; nel Governo Conte II si sono evidenziati: le Dadone, i Provenzano, i Gualtieri, i Di Maio, i Fioramonti, i Patuanelli, le Bellanova  con una particolare menzione di demerito assoluto da assegnare ad Alfonso Bonafede per il caos, gli scandali e le ombre del pianeta giustizia  e a Lucia Azzolina per il caos e le altalenati decisioni sulla riapertura delle scuole a settembre. Questa non comune abilità di Conte, della quale gli va reso merito, ne ha reso centrale il ruolo politico-istituzionale, rafforzato dalle crescenti debolezze altrui: - l’asservimento totale del PD zingarettiano alla vocazione governista dei suoi esponenti di punta, a costo di compromessi al ribasso sulle alleanze con i cinque stelle, di recente persino promosse come strategiche, di tradimenti morali e di abiure ideali dei principi fondanti del partito, su temi come la giustizia, la garanzia delle libertà, la tutela dei diritti fondamentali, il contrasto al gioco d’azzardo e alla criminalità organizzata; - la lotta sanguinosa di potere in corso nel M5S, tra i “governisti”, la nuova casta, di cui è simbolo assoluto e senza rivali Di Maio, guidati dal comico genovese, e i “puristi”, animati da uno cripto-rivoluzionario, come Alessandro Di Battista, difensore dell’identità pseudo-ideologica (quale?) del movimento e dei cosiddetti valori (quali?), a fronte di una silente quanto minacciosa “palude“ di parlamentari, decisa ad allearsi anche con il diavolo (o rifugiarsi in altri gruppi!) pur di non rinunciare, prima della scadenza naturale della legislatura, nel 2023, al seggio e ai “privilegi”, anche economici, un tempo contestati, con accuse infamanti, ai loro antecessori; - le reiterate, rutilanti, mirabolanti ed estemporanee “discese in campo”, le cosiddette mosse del cavallo, e i successivi “dietrofront” di Matteo Renzi, mirate ad riacquisire visibilità nel teatrino della politica o qualche nomina, nel disperato tentativo di sopperire al fallimento di una scelta, provocata da una sopravvalutazione egolatrica; - l’irresolutezza e l’incapacità dei partiti di opposizione (quale opposizione?), Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia, di presentarsi realmente uniti e con un credibile programma di governo, costretti a ricorrere a compromessi provvisori (ad esempio, le candidature alla presidenza delle Regioni per il rinnovo elettorale del 20/21 settembre!). In realtà, partiti disuniti e lacerati da strategie contrapposte, anche promozionali, da propositi inconciliabili tra loro e da “reciproci furti di consenso sul territorio” (la caduta della leadership di Salvini nella Lega, fortemente contrastata dall’ascesa progressiva di Giorgia Meloni, nonché l’eterno e immarcescibile appeasement verso i detentori del potere pro-tempore di Silvio Berlusconi, gli accomodamenti di un partito personale a tutela dell’impero mediatico del fondatore e degli interessi aziendali, aspiranti ad una dimensione europea; - il sostegno dei vertici delle istituzioni europee, terrorizzati, dopo il trauma ancora irrisolto della Brexit, da un presa di potere del sovranisti italiani, giudicata come il preludio di una rottura del sistema monetario euro e di una conseguente disintegrazione dell’Unione. Le astuzie del premier, tipiche dei legulei di provincia, non vengono snidate, tranne qualche rara eccezione, nelle sedi parlamentari, ridotte ad un bivacco di impotenza, ma addirittura sono supportate, talvolta esaltate, dal mondo dell'informazione, sia radiotelevisivo, pubblico e privato, che cartaceo, quest’ultimo a mezza strada tra il flebile sussulto critico di qualche commentatore indipendente e una sostanziale omertà verso il potere del premier. Il servizio pubblico televisivo, in particolare, si è prodotto e si produce quotidianamente, in una servile esaltazione, che manco nella Russia di Putin, quasi Conte fosse diventato l’autocrate della nostra nazione. 
Dal canto loro, i gruppi mediatici ed editoriali privati, condizionati dai loro interessi finanziari e commerciali, collegati al mercato della pubblicità, continuano a gestire, come sempre, realisticamente e diplomaticamente, i rapporti con il premier di turno, tranne farlo massacrare e sputtanare non appena deprivato del bastone di comando. L’esempio temporalmente più vicino a noi, per non arrivare ad evocare l’ex-presidente Bettino Craxi, rimane quello dell’ex-premier Matteo Renzi, il rottamatore rottamato, oggetto oggi persino di derisione, sulla stampa un tempo amica. Si può solo immaginare quale trattamento “di riguardo” sarà riservato anche a questo “salvatore della patria”, in un non lontano futuro, a fine servizio, quando gli adulatori si trasformeranno in giudici severi del suo operato governativo. A meno che la “volpe foggiana”, novello “stupor mundi” per gli ingenui, non riesca a sbalordire ancora l’Italia, l’Europa e il mondo, fondando, con un prevedibile successo elettorale, il “partito della mediazione permanente”. Oppure ascendendo, con il garbo e l’eleganza che lo contraddistinguono, alla suprema magistratura dello Stato, andando ad abitare, per la gioia incontenibile dei suoi fans, sul colle più alto dell’Urbe, protetto dai Dioscuri, la splendida ex-residenza estiva dei Papi. Da Palazzo Chigi al Palazzo del Quirinale sarà un passo breve? E, perché no, allora gli sarebbe possibile premiare lo stratega dei tanti suoi successi, l’ingegner Rocco Casalino, elogiato senza riserve come un “servitore dello Stato”, elevandolo al rango di segretario generale della presidenza della Repubblica, in mancanza, nel tempo presente, di una porpora cardinalizia, segno distintivo, nel Rinascimento, del nepotismo pontificio. Il cardinal Casalino, non sarebbe suonato poi male!

LE FASI DELL’INCOMPIUTO CONTIANO: LA FASE 1, LA FASE 2 E LA FASE 3. REINVENTARE IL PAESE

Si può affermare che la cosiddetta Fase 1 si sia compiuta, conclusa definitivamente? Oppure è rimasta incompiuta e minaccia di diventare la Fase 1-bis nel prossimo autunno, come accadde con l’epidemia della spagnola del 1918/1919, che causò, nel mondo, con la seconda ondata, decine di milioni di morti e, in Italia, centinaia di migliaia. Il primo tempo incompiuto del premier Conte, quindi, è rappresentato proprio dalla Fase 1, seguita dal secondo tempo, ancor più incompiuto del primo, la cosiddetta Fase 2, quella, per intenderci, del “Cura Italia” e della “Liquidità”, gli ormai celebri decreti economici, annunziati dal premier, tra rulli di tamburi ed enfatiche espressioni distributive di centinaia di miliardi, come provvedimenti di immediata attuazione ed esecuzione. Nei fatti, invece, atti scritti male, sotto il profilo giuridico, operativo e gestionale, con migliaia di articoli incomprensibili, con procedure farraginose, fondate su presupposti organizzativi errati (le carenze di sistema!), rivelatisi inefficienti e tardigradi, a partire dall’INPS, dal sistema bancario e dalla rete istituzionale delle entrate. I mutui, i prestiti garantiti, i bonus, i rinvii a breve delle scadenze fiscali, i divieti di licenziamenti, la cassa integrazione e tutto l’ambadaram delle misure assistenziali, varate per provvedere, nella lunga fase di chiusura, alla sopravvivenza immediata delle famiglie e delle imprese, specie le piccole e le medie, sono ancora, a fine giugno 2019, rimaste incompiute. Se i provvedimenti anti epidemia, comunicati in modo ansiogeno, hanno provocato (e provocano ancora) sentimenti diffusi di paura, di ansia e di angoscia, i ritardi applicativi dei due decreti economici hanno suscitato (e suscitano ancora) sconcerto, delusione, amarezza, timore del futuro e disperazione da parte di tutte le categorie sociali interessate, in particolare dei soggetti più deboli, facendo paventare dal ministro dell’Interno un’imminente bomba sociale. Questa disgregazione del tessuto sociale può essere strumentalizzata dalla criminalità organizzata, dalle mafie nostrane ed estere, divenute ancor più sovrane non solo nel Sud, ma sull’intero territorio nazionale. Il loro sovrabbondante denaro sporco (frutto dello spaccio di droga, dell’usura, delle estorsioni, del caporalato, del lavoro nero, del gioco d’azzardo, della prostituzione di strada e del traffico degli essere umani, mai interrotto) può essere messo a disposizione “generosamente” delle famiglie e delle imprese in crisi di liquidità, strette nella morsa dell’azzeramento dei fatturati e degli adempimenti fiscali, ancorché rinviati sempre  a breve dal governo. Una “generosità” che verrebbe pagata a caro prezzo dalla sicurezza nazionale con l’estensione degli imperi economici criminali e con il definitivo inquinamento dell’economia sana del paese. Dove lo Stato democratico risulta intempestivo o assente, infatti, il soccorso criminale si rivela sempre tempestivo e presente! La rete di protezione, dunque, stesa da Conte su milioni di italiani, fatta di sussidi da economia di guerra (dalla cassa integrazione alle garanzie pubbliche sui prestiti bancari, dalla sospensione dei rimborsi alla banche di debiti preesistenti al rinvio di alcune scadenze fiscali, si è rivelata, finora, incongruente, piena di buchi e di falle. Una rete pubblica di sussidi, di garanzie e di tutele, rimasta anch’essa ancora incompiuta. Conte, tuttavia, non si è arreso, e neppure ravveduto. Con le riaperture delle attività, dopo il lock down, ha inaugurato, con il consueto trionfalismo da operetta, la Fase 3, ancorata al terzo decreto economico (quello di maggio, ex di aprile), intitolato, per merito del consueto umorismo nominalistico degli estensori, decreto “Rilancio”, con la conferma di bonus e di aiuti, nonché di misure a sostegno delle famiglie e delle imprese, ma privo del tutto di investimenti reali. Ci può essere sviluppo senza investimenti?  Questo decreto avrebbe dovuto avviare il superamento dell’assistenzialismo di massa e la ripresa economica del nostro paese, di fronte alla gravissima e allarmante emergenza economico-sociale. Ad oggi, questa ripresa non è neppure iniziata, condizionata dalla previsione (peraltro ottimistica!) di un PIL 2020 a meno 14%, dalla caduta della produzione industriale in tutti i settori, con percentuali mai registrate in passato, da decine di migliaia di imprese sull’orlo del fallimento, da una disoccupazione crescente, nonostante redditi di cittadinanza, sempre di marca grillina, graziosamente distribuiti e i “procuratori del lavoro”, benevolmente assunti (per far che?).

LA GRANDEUR CONTIANA: GLI STATI GENERALI DELL’ECONOMIA. TANTO RUMORE PER NULLA. IL PROGETTO DEL “NON FARE NIENTE! (COPYRIGHT MAURIZIO CROZZA)

Alle critiche esplose a livello popolare sui ritardi, Conte ha risposto rovesciando, come suo costume, le responsabilità sui presidenti di regione, sui sindaci, sulla burocrazia che gli rema contro, sul sistema bancario e sull’INPS. Sull’istituto di previdenza, tuttavia, ha preferito soltanto “sculacciare” il presidente dell’INPS, targato sempre grillino, chiamandolo a rapporto, per un caffè, a Palazzo Chigi, piuttosto che imporgli immediate dimissioni e sostituirlo. Agli autorevoli rilievi, interni e internazionali, su un governo allo sbando, senza una bussola, alla giornata, mancante di una strategia complessiva per lo sviluppo, fondata realisticamente sulle disponibilità finanziarie armai ridotte al lumicino, nonostante le acrobazie del ministro Roberto Gualtieri sul bilancio e le promesse europee (Recovery Fund, MES, ecc...), tutte da verificare nelle prossime settimane, ha replicato, con rinnovata abilità, varando la stagione delle riforme. Le ha annunziate, con date precise, soccorso, in queste nuove performance anche dai suoi ministri-gregari (ad esempio, la riforma dell’IRPEF, annunziata dal ministro Gualtieri). Per fare ponte sul futuro, quindi, ha lanciato la grande sfida riformatrice, a partire dalla deburocratizzazione, dalla semplificazione, dal fisco, dalla scuola, dal turismo e dalla cultura, con uno slogan degno di miglior causa: “Dobbiamo reinventare il paese!”. Caspita, altro che Cavour, Churchill o De Gasperi! E in questo rinnovato delirio salvifico, ha convocato a Villa Pamphili, sfidando anche infausti precedenti storici, gli “Stati Generali dell’Economia”, che, nelle sue intenzioni, avrebbero dovuto disegnare, in dieci giorni, prima dell’inizio dell’estate, un road map per la ripresa. Ma, ahi noi, anche quest’ultima iniziativa si è rivelata un bluff, un’altra mossa propagandistica, un empty box, inconcludente e modesto nei contenuti. In poche parole, un fiera della vanità, etero-diretta dal solito Casalino, il Richelieu nostrano, il quale ne ha proditoriamente escluso la stampa, ma non ne ha potuto impedire il fallimento. Le signore delle istituzioni europee hanno ripetuto opinioni e impegni già espressi, Colao ha illustrato il suo piano, già noto, le associazioni di impresa e i sindacati hanno lamentato i ritardi e la mancanza di strategia del governo. Il resto comparse, riempitivi della decade di lavori.
Risultato: tanto rumore per nulla, di cui si ricorderà, forse, la rissa sulle accise tra Conte e il presidente di Confindustria. Proposte conclusive? La riduzione dell’IVA, peraltro temporanea, che brucerebbe l’attesa di una riforma globale del fisco, ridotto ad una congerie di norme, ingiuste, inique e predatorie del mondo produttivo e del lavoro. E il progetto? Non fare niente, come ha ironizzato brillantemente Maurizio Crozza, il quale, con la sua satira sottile, riesce a cogliere sempre nel segno. Siamo al bilancio di una disfatta morale, istituzionale, politica, economica, finanziaria e sociale. Eppure alle truppe dei ciechi, dei sordi e degli ingenui, si è unita la schiera dei nuovi plauditores del premier Conte: quegli imprenditori che, in alcuni settori interessati dalle politiche del governo e dalla crisi, sanitaria ed economica, ci stanno guadagnando e ci guadagneranno, raddoppiando i loro fatturati e i loro utili, mentre il resto del paese langue. 

LA FASE 4: CHI EREDITERÀ LE MACERIE AUTUNNALI? QUALE FUTURO PER L’ITALIA? LA NUOVA RESISTENZA

Ci si interroga e ci si interrogherà, lungo questa estate rovente (luglio/agosto/settembre), non soltanto meteorologica, su “come” si potrà governare la cosiddetta Fase 4. Una fase, quest’ultima, fondamentale che cadrà nel prossimo autunno e che non potrà essere gestita da chicchessia, senza un preliminare discorso di verità (finalmente!), rivolto agli italiani: la presa d’atto delle condizioni reali della nostra nazione e delle macerie lasciate sul campo da uno tsunami che ha svelato tutte le carenze e le arretratezze del nostro sistema-paese, nonché i limiti di un’intera classe politica. Un discorso di verità che servirà ad introdurre la definizione di un piano di ricostruzione nazionale, fatto di investimenti strategici e di sblocco immediato delle opere pubbliche già finanziate, realistico, concreto e fattuale, senza rinunziare a quei valori ideali che hanno sempre contraddistinto il nostro popolo: la creatività, la laboriosità, la solidarietà e lo spirito di sacrificio, senza essere necessariamente santi, eroi o navigatori!
Su chi governerà la Fase 4 pesano molte variabili indipendenti: il ritorno (sperando di no!) di una nuova ondata epidemica; l’aggravarsi della crisi occupazionale; il mancato recupero estivo del settore turistico; i risultati delle elezioni regionali parziali del 20/21 settembre; il conseguimento delle misure europee di sostegno alla nostra economia, per l’entità delle risorse, per la qualità degli interventi, per le condizioni imposte e, soprattutto, per i tempi di erogazione degli aiuti. Quest’ultimo nodo sarà sciolto nelle prossime settimane e ulteriori rinvii delle decisioni non sarebbero di buon auspicio. Come non risulta di buon auspicio, per la stessa sopravvivenza del Governo Conte, lo scontro dell’ultima ora tra il M5S e il PD sull’utilizzo dei fondi del MES, che Conte dovrà provare a disinnescare! Resterà sempre sul tappeto la capacità di impiego tempestivo delle risorse finanziarie acquisite con progetti ambiziosi a breve, a medio e a lungo termine, nei settori infrastrutturali e in quelli peculiari della nostra economia nazionale di trasformazione e di valore aggiunto, a partire dal reticolato delle piccole e medie imprese.  L’idoneità politica del governo e la competenza dei responsabili nei diversi ambiti della pubblica amministrazione, quindi, saranno determinanti.
Sarà ancora Conte il protagonista della Fase 4, smettendo il suo metodo di governo, fatto di roboanti annunzi e di scarsi risultati, di rinvii e di promesse deluse, che tanti danni ha provocato finora? Tutto dipenderà da una rivoluzione di mentalità, dalla sostituzione di alcuni ministri inidonei, dai risultati finanziari della missione europea e dalla capacità del premier di tenere insieme i cocci dei partiti della maggioranza, dai quali tracima una malcelata intolleranza e una repulsione verso il suo protagonismo inconcludente.
In autunno, non saranno più i tempi delle mediazioni, dei rinvii e delle passerelle mediatiche, ma quelli delle scelte forti, chiare, coraggiose e impopolari. Altrimenti il destino dell’Italia verrà ulteriormente pregiudicato.
Non resterà, in quel dannato e certo non auspicabile accadimento, che rispondere all’appello per una “nuova resistenza”, già invocata nel 2018, resa più urgente e inderogabile per salvare l’onore, la libertà, la democrazia e il futuro civile del nostro paese e delle nuove generazioni.

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